NEL 2012 IL PIL E’ TORNATO AI LIVELLI DEL 2001

E’ drammatica la caduta dell’economia reale

Il dato diffuso dall’Istat conferma che con un calo del 2,2% sul 2011 il prodotto interno lordo italiano ritorna indietro di dodici anni riportandosi al livello del 2001. Rispetto al 2007, cioè rispetto all’anno che ha preceduto la crisi epocale che ancora travaglia il nostro paese, la contrazione del Pil è del 6,5%. Si tratta indubbiamente di un calo rilevante, ma che tuttavia non riflette la frenata dei principali settori dell’economia reale, che è stata decisamente più drammatica. Basti pensare, sottolinea il Centro Studi Promotor, che la produzione industriale, rispetto ai livelli ante- crisi, ha subito un calo del 25,4%, mentre per il mercato dell’automobile la caduta è stata addirittura del 43,7% e non vi sono oggi realistiche possibilità di recupero per questo mercato senza che si profili un miglioramento del quadro economico generale. E’ dunque assolutamente necessario che, superata la scadenza elettorale, venga adottata una politica economica in grado di rilanciare nell’immediato l’economia reale, partendo dai consumi, senza nascondersi dietro l’alibi della priorità di una politica di austerity o della necessità di varare riforme. 

Come anche la recente esperienza ha dimostrato le riforme, ammesso che siano efficaci, possono produrre effetti soltanto nel medio periodo, mentre le misure di austerità, se non accompagnate da una politica anticongiunturale, deprimono l’economia e non raggiungono gli obbiettivi di contenimento e di risanamento del bilancio pubblico perché vanificate dalle contrazioni di gettito derivanti dalla frenata dell’economia reale. Secondo il Centro Studi Promotor è anche necessario che il prossimo Governo si impegni per promuovere politiche economiche dell’Unione Europea più coerenti con quelle seguite nel resto del mondo, che sta ora puntando decisamente sulla crescita più che sulla stabilità finanziaria. In particolare è autolesionistico che l’Unione Europea si arrocchi in difesa del cambio dell’euro, mentre le maggiori economie del mondo operano apertamente e dichiaratamente per svalutare le loro monete ed è immorale che non si rinviino a tempi migliori gli obbiettivi di pareggio dei bilanci pubblici, condannando paesi come la Grecia e il Portogallo a situazioni di miseria e di disperazione indegne dell’Europa e in chiaro contrasto con i valori cristiani e sociali che sono alla base della costruzione europea.