“Mercato tra crisi e ripartenza”
Intervento di Gian Primo Quagliano
Milano, 4 Febbraio 2010
Data l’importanza del settore automobilistico, qualsiasi analisi se ne voglia fare va necessariamente preceduta da un esame del quadro economico. Ciò vale sempre, ma in particolare vale oggi, dopo la deflagrazione di quella che è stata definita la “crisi globale”. Cominciamo dunque con alcune sintetiche considerazioni sulla situazione dell’economia.
Il quadro economico
Nella storia dello sviluppo economico moderno vi sono tre grandi depressioni. La prima è quella del 1873-1895, la seconda è quella iniziata nel 1929 e la terza è quella iniziata nel 2008.
Nel 1873, al termine di una fase di sviluppo accelerato dei cosiddetti Paesi economicamente avanzati, la crescita della capacità produttiva di beni agricoli e industriali trovò un limite nella capacità di assorbimento del mercato in un contesto caratterizzato da politiche economiche protezionistiche. Da questa situazione si uscì a partire dal 1895 soprattutto per l’effetto dell’apertura di nuovi mercati dovuta al colonialismo e si entrò così in quella che è stata definita la Belle Époque anche dal punto di vista economico.
Anche la crisi del ’29 esplose al culmine di una fase di forte sviluppo. Le sue cause sono state oggetto di studio praticamente da parte di tutti gli economisti successivi. J.K. Galbraith ha identificato cinque cause principali che sono schematizzate nella slide 1 e che conviene esaminare anche con riferimento alle analogie e alle differenze con le cause della crisi attuale (slide 2).
Galbraith colloca al primo posto, la “cattiva distribuzione del reddito”. Questo è certamente un punto centrale che merita un approfondimento anche perché è tra le cause strutturali pure della crisi attuale. Sul problema della distribuzione del reddito vi è una sterminata pubblicistica economica, politica e sociale. In termini statistici la questione è stata correttamente impostata fin dal 1905 dallo statistico americano Lorenz. Si parla di concentrazione del reddito quando una certa quota della popolazione, costituita dalle persone più ricche, possiede una quota superiore del reddito prodotto. Se il 20% della popolazione possiede il 40% del reddito siamo in presenza di concentrazione. Se la quota di reddito è del 60% la concentrazione è forte, se è dell’80%, come avviene in molti Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, la concentrazione è tale da ostacolare fortemente la crescita.
Una misura sintetica della concentrazione, il rapporto di concentrazione (R), è stata introdotta dallo statistico italiano Corrado Gini nel 1912. Nello sviluppo economico una certa concentrazione del reddito (e della ricchezza) è necessaria perché alimenta l’accumulazione capitalistica indispensabile per gli investimenti in infrastrutture e nell’apparato produttivo. E’ però essenziale che alle famiglie rimanga comunque una quota di reddito sufficiente per acquistare (o affittare) le abitazioni, i beni di consumo durevoli e non durevoli e i servizi che vengano offerti in quantità crescente da un sistema economico in sviluppo.
Se la concentrazione del reddito sale oltre una certa soglia (che varia nelle diverse situazioni) accade che il reddito destinato ai consumatori non è più sufficiente per assicurare la crescita dei mercati. Si crea così una frattura nello sviluppo economico, che in genere si manifesta improvvisamente con un evento dirompente (crollo della borsa di New York nell’ottobre del 1929; fallimento di Lehman Brothers nel settembre 2008). Crisi di questo tipo, cioè grandi depressioni, hanno in genere durate molto lunghe perché esistono forti resistenze di carattere politico per ripristinare un efficace rapporto tra concentrazione del reddito e sviluppo.
Negli anni ‘20 la concentrazione del reddito era aumentata fortemente per le innovazioni tecnologiche introdotte nell’attività produttiva (catena di montaggio, taylorismo, ecc.) e per la crescente affermazione della finanza in situazioni di sostanziale costanza dei salari e del potere d’acquisto delle masse. Nel 1929 le risorse destinate ai consumatori non erano ormai più sufficienti a sostenere lo sviluppo e si produsse così la frattura che diede inizio alla grande depressione. Per ristabilire un rapporto di concentrazione del reddito che consentisse la ripresa dello sviluppo, si dovette arrivare alla seconda Guerra Mondiale e al dopoguerra che con il piano Marshall operò una consistente ridistribuzione del reddito anche sul piano internazionale. Nella situazione che stiamo oggi vivendo abbiamo assistito a formidabili incrementi di produttività legati alla liberalizzazione sul piano internazionale dei movimenti dei capitali e in grande misura anche delle persone, alla quasi completa eliminazione dei dazi doganali, alla liberalizzazione del mercato del lavoro, alle privatizzazioni, alle globalizzazioni in genere ed anche, in misura rilevantissima, alla rivoluzione della Information and Communication Technology (ICT). I grandi incrementi di produttività conseguenti sono andati soprattutto a vantaggio delle attività finanziarie e delle imprese, mentre il potere di acquisto dei consumatori è rimasto sostanzialmente invariato se non è addirittura calato. Il punto di rottura sarebbe stato raggiunto già negli anni ’90, ma la resa dei conti è stata rinviata attraverso massicce iniezioni di credito al consumo e di mutui (subprime e non) che hanno consentito alle famiglie di acquistare e consumare ben al di là delle loro risorse. Anche questo meccanismo si è però inceppato. La spia è stata, come è noto, il fallimento di Lehman Brothers.
Analogie e differenze con la crisi del ‘29
Continuando nell’analisi delle analogie e delle differenze tra la Grande Depressione del 1929 e quella del 2008 nello schema di Galbraith (slide 1 e 2) al secondo, terzo e quarto posto troviamo: cattiva struttura o cattiva gestione delle aziende industriali e finanziarie, cattiva struttura del sistema bancario ed eccesso di prestiti a carattere speculativo. Se si considerano le cause della crisi attuale non si può certo parlare di cattiva struttura delle aziende, ma le altre cause citate dal Galbraith per la crisi del ’29, non solo sono presenti, ma si aggiungono ai già ricordati eccessi di credito al consumo e di mutui alle famiglie e, in genere, all’enorme crescita delle attività finanziarie rese sempre più ad alto rischio con la nascita dei derivati e di tutti gli altri strumenti di “finanza creativa”. E tutto ciò in un quadro di piena liberalizzazione, di controlli inefficaci e soprattutto di assenza di etica.
L’ultimo elemento che Galbraith inserisce tra le cause della crisi del ‘29 è: “errata scienza economica, perseguimento ossessivo del pareggio del bilancio e quindi assenza di intervento statale considerato un fattore penalizzante per l’economia”. Su questo terreno gli errori del 1929 non sono stati certamente ripetuti nell’affrontare la crisi del 2008, la teoria economica è andata avanti e gli Stati hanno affrontato molto efficacemente la crisi attuale immettendo liquidità nel sistema economico ed evitando nuovi crolli di megaimprese. Dopo quello di Lehman Brothers, ma, tamponata efficacemente l’emergenza, il problema vero viene oggi: bisogna affrontare alla radice i nodi strutturali del problema che sono l’assoluta necessità di una nuova regolamentazione del sistema e il ristabilimento di un rapporto di concentrazione del reddito che consenta la ripresa dello sviluppo o, detto in altri termini, una ridistribuzione del reddito funzionale quantomeno alla crescita.
Per quanto riguarda le nuove regole il recente World Economic Forum di Davos ha mostrato quanto forti siano le resistenze ai primi tentativi messi in campo dal Presidente Obama. Per quanto riguarda la ridistribuzione del reddito è certamente in atto una ridistribuzione tra Paesi per effetto della globalizzazione, ma non vi sono segnali che una ridistribuzione sia in atto anche all’interno dei singoli Paesi. Su quest’ultimo terreno, tra l’altro, la teoria economica non aiuta. Il legame tra economia, sociale e politica è infatti troppo stretto perché le teorie possano essere sempre neutrali e non indulgano al richiamo di interessi economici settoriali. Resta comunque il fatto che finché i nodi strutturali non saranno tagliati non vi potrà essere il ritorno ad uno sviluppo durativo.
Gli scenari possibili
Tenendo conto di queste considerazioni si può tentare di dare una risposta a due quesiti di particolare interesse. In quale scenario si svilupperà la crisi attuale e quanto tempo occorrerà per tornare ad uno sviluppo di medio-lungo periodo. Sono stati prospettati quattro possibili scenari: andamento a V (caduta seguita da rapida ripresa), andamento a W (caduta, ripresa, nuova caduta, ripresa), andamento a U (caduta, stagnazione, ripresa), andamento a L (caduta e lunga stagnazione). L’andamento a V può ormai esser escluso. Lo scenario a W è quello della crisi del ‘29 in cui la ripresa cominciò nel ’33, ma nel ‘37 vi fu una nuova caduta che venne superata soltanto con la Seconda Guerra Mondiale e con il dopoguerra con la ridistribuzione del reddito che hanno comportato. Lo scenario a U è quello tutto sommato più ottimistico e presuppone che nonostante le forti resistenze, i nodi strutturali vengano superati in un numero di anni ragionevolmente piccolo, lo scenario a L è il peggiore perché presuppone un evento fortemente traumatico per uscire dalla crisi (nella crisi del ’29 fu la seconda Guerra Mondiale).
Molto difficile è rispondere in ogni caso alla domanda sulla durata della depressione. La crisi del 1873 è durata 22 anni, quella del ‘29 è durata 11 anni. E’ pensabile ed auspicabile che quella attuale duri meno. La teoria economica ha fatto grandi progressi, ma le resistenze al cambiamento restano, come si è già visto, molto forti. Sicuramente più facile è in termini congiunturali stabilire a che punto siamo nell’evoluzione della crisi. Siamo nel tratto comune a tutti e quattro gli scenari ipotizzati. La caduta è finita e la prospettiva più probabile nel breve termine è una fase di stagnazione. Anche per quanto riguarda l’Italia il quadro è chiaro e supportato da fonti statistiche copiose ed affidabili. Nel 3° trimestre 2009 il prodotto interno lordo, dopo 5 cali consecutivi, ha fatto registrare la prima crescita congiunturale. Sulla base dell’andamento dei dati statistici settoriali disponibili e degli indicatori di fiducia è altamente probabile che il 12 febbraio, quando verrà pubblicata la prima stima dell’Istat sul PIL nel 4° trimestre 2009, si registri una variazione congiunturale ancora positiva dopo quella del 3° trimestre che sancirebbe l’arresto della caduta, ma non certamente l’avvio di una rapida ripresa. La prospettiva che probabilmente si aprirebbe è quella di una stagnazione con qualche possibilità di moderati recuperi congiunturali nel corso del 2010.
Le nuove previsioni per il mercato auto
Venendo alle questioni del mercato dell’auto, per elaborare le previsioni che il Centro Studi Promotor GL events ha presentato il 4 dicembre scorso all’apertura del 34° Motor Show di Bologna abbiamo considerato uno scenario di evoluzione della crisi a U, ipotizzando per il mercato dell’auto una stagnazione fino a tutto il 2011, una moderata ripresa nel 2012 e un ritorno ai livelli ante-crisi a partire dal 2013.
Questa previsione è stata elaborata sulla base di una ampia analisi della situazione del mercato dell’auto esposta nella già citata conferenza stampa di apertura del Motor Show di Bologna, analisi che è stata pubblicata, con le relative slide, su “Dati e Analisi” di gennaio 2010, il mensile del Centro Studi Promotor, ed è attualmente disponibile su internet alla sezione “Convegni e conferenze” del sito www.centrostudidpromotor.com. La nostra previsione era stata basata sull’ipotesi che gli incentivi alla rottamazione e per le auto ecologiche in vigore nel 2009 venissero rinnovati con entità e formula sostanzialmente invariata prima della scadenza, cioè prima del 31 dicembre e che a partire dal 2011 non venissero più riconosciuti incentivi alla domanda di auto. Come è noto gli incentivi non sono stati ancora rinnovati e occorre quindi già un primo aggiornamento della previsione elaborata soltanto due mesi fa. E’ tuttavia doveroso premettere una considerazione. Gli incentivi alla domanda di auto o a qualsiasi altra cosa, come tutte le misure che possono introdurre turbative di mercato, prima si introducono e poi si annunciano, come si fece con i primi incentivi alla rottamazione varati il 31 dicembre 1996 per il 1997. Questa elementare regola nell’ultimo anno è stata invece sistematicamente disattesa. Molti mesi prima della scadenza degli incentivi 2009 ne è stato ufficialmente annunciato il rinnovo, rinnovo poi sistematicamente ribadito con l’effetto di depotenziare le misure in vigore in quanto la possibilità che una misura incentivante a termine venga rinnovata alla scadenza riduce la propensione al servirsene. Giunti in prossimità della scadenza si è cominciato a parlare di un rinnovo all’inizio di gennaio, poi di un rinnovo entro gennaio, poi della possibilità di un rinnovo per sei mesi con bonus dimezzati, poi si è messa in dubbio la possibilità del rinnovo, poi ancora si è dichiarato di dover aspettare “valutazioni in ambito europeo”, valutazioni assolutamente non necessarie dato che ogni Stato ha fatto quello che ha ritenuto opportuno non soltanto in tema di incentivi alla domanda, ma anche in tema di aiuti diretti all’industria, aiuti cioè, che,diversamente dagli incentivi alla domanda, sono espressamente vietati dalla normativa europea.
Questo “singolare balletto di comunicazioni” ha avuto un primo pesante effetto negativo. Dall’inizio dell’anno gli ordini di vetture incentivate nel 2009 e potenzialmente incentivabili nel 2010 sono pesantemente caduti. Chi infatti acquista oggi a 100 quello che potrebbe acquistare domani a 90?
Premesse queste considerazioni veniamo alle previsioni. Lo scenario migliore è che gli incentivi vengano approvanti entro febbraio in misura identica a quelli del 2009 ed estendendo di un anno la platea delle auto rottamabili con incentivi, cioè considerando anche le Euro 2 immatricolate entro il 2000. In questa ipotesi la previsione di 2.160.000 vetture immatricolate nel 2010 dovrebbe essere ridotta a 2.100.000. Uno scenario decisamente peggiore è il rinnovo per sei mesi con bonus dimezzati, e cioè di 700-800 euro come è stato ufficialmente ipotizzato. E ciò, non tanto per la limitazione temporale, quanto perché l’entità del bonus scenderebbe al di sotto della quotazione dell’usato delle vetture rottamabili e quindi l’effetto incentivante sarebbe nullo. Un certo impatto positivo potrebbe comunque aversi se gli incentivi prevedessero anche la possibilità di acquistare vetture ecologiche indipendentemente dalla rottamazione. Considerando questa ultima ipotesi la previsione per il 2010 è di 1.850.000 immatricolazioni. Nell’ipotesi infine che non venissero affatto adottati incentivi ribadiamo la previsione già formulata il 4 dicembre in occasione dell’apertura del Motor Show di Bologna: le immatricolazione scenderebbero a 1.750.000 unità con un calo dell’ordine del 20% sul 2009.
Milano, 4 Febbraio 2010
Gian Primo QUAGLIANO
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